It’s so obvious to me that the only thing I’m interested in is the image, I’m only interested in the picture that I make, not in the installation form. I never consider projector to be part of my work, I just think of the film as a photograph or a painting that has its status and autonomy.

One of the greatest disappointments in working with film is this sense of evanescence, the disappearance of things…every film is a kind of iconoclastic machine destroying the previous image, so you have this costant distruction of one image by the next...a film is a picture destroyer.

To me the history of picture making is not about sound, it’s about pictorial space and sound doesn’t belong to that space…if the work is successful it can give a sense of that sound without the sound actually beeing there...my works are not without sounds they just don’t have sound added
. [Mark Lewis]

Mark Lewis, Backstory, still da video, 2009.

L'opzione del silenzio è la regola di quasi tutti i suoi film, l’inquadratura fissa mette alla prova la pazienza di ogni spettatore, i piani sequenza e la mostrazione - più che la narrazione -, l’assenza di un plot narrativo, di una storia da raccontare e la prevedibilità dei movimenti di macchina, lo avvicinano al cinema delle origini. Una scelta formale che tuttavia oltrepassa l’omaggio nostalgico ai tempi dei fratelli Lumière e di George Méliès, un processo di sottrazione, al termine del quale, quanto rimane è ciò che più interessa l’artista; l’immagine, l’immagine in movimento, lo spazio pittorico proiettato a muro. 

I think of myself as making mooving pictures rather than making cinema – ci dice Mark Lewis e in questa intervista spiega quali siano le condizioni migliori e gli spazi più idonei ad accogliere i suoi lavori. Ne abbiamo parlato a partire dalla natura delle sale del Museo Marino Marini di Firenze che ospitano una personale a lui dedicata. Uno spazio con una sua forte identità e una specifica narrativa – così come il Padiglione Canadese a Venezia che ha occupato all’ultima biennale – lontano dalla neutralità del cubo bianco che più predilige.
Abbiamo parlato poi dell’assenza del suono – o meglio della decisione di non aggiungere suoni e di fare in modo che siano le immagini a trasmetterli – della pulizia allestitiva che meglio si addice alla fruizione dell’arte, della durata perfetta dei video - che secondo l'artista devono avere la durata che meglio si addice allo spazio che li accoglie -, di resistenza, di noia. 
Dalla forma al contenuto, tenendo a mente la frequente presenza di edifici modernisti ritratti dalle sue mooving images e ricordando i suoi primi interessi artistici per il destino dell’arte pubblica in periodi di rivoluzioni e disordini sociali - abbiamo parlato di rovine, del loro fascino romantico, di modernità – modernity is our antiquity? – di modernismo e di iconoclastia.
Per concludere abbiamo posto alcune domande al Mark Lewis editore e critico. Ci interessava capire – con lui che cura, insieme a Charles Esche, Afterall, una delle riviste più interessanti degli ultimi anni – a che punto sia la teoria dell’arte e quale sia il rapporto tra la produzione artistica e la storia, la conoscenza e la critica dell’arte. 

Il 24 novembre 2009 al Cinema Odeon di Firenze, all’interno del Festival Lo schermo dell’Arte verrà proiettato Backstory, un film documentario di Mark Lewis sugli Hansard, famiglia di tecnici esperti nella retroproiezione, una tecnica molto in voga nella produzione cinematografica di Hollywood e usata dallo stesso artista in video come Rear Projection: Molly Parker
Il 25 Lewis sarà al Museo Marino Marini per una lecture.

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