A Faenza ha inaugurato la tre giorni di Festival insieme a Carlos Basualdo; da Shibboleth, l'opera che nel 2008 ha realizzato per la Unilever Series alla Tate Modern di Londra, Doris Salcedo ha parlato di memoria, monumenti e memoriali, di opere che non riempiono lo spazio ma nascono e vivono di assenza, che sempre danno voce, responsabilmente, al dolore e alla memoria di coloro che non sono ascoltati.

Come la ferita che ha lasciato nella Turbine Hall, un lavoro che non si impone nello spazio ma che scava nella storia dell'architettura stessa del museo - il Signor Tate era proprietario di piantagioni di canna da zucchero - e ne trae spunto per ripensare all'Inghilterra moderna e alle sue fondamenta imperialiste; un'opera sul rapporto tra l'architettura e i valori che essa rappresenta, sulle traballanti fondamenta ideologiche della modernità occidentale, madri legittime di colonialismo e razzismo secondo l'artista.

Doris Salcedo, Shibboleth, Tate Modern, Unilever Series, London, 2007.

In questa breve intervista ci racconta la responsabilità di un artista che scelga di raccontare la Storia, attraverso le storie private di sofferenza di quelle vittime, colombiane e non solo, che hanno perso la loro voce, della necessità di esserne coinvolti emotivamente, della speranza che resiste fintanto resistano coloro che intendano narrare la storia: 

When victims are capable to narrate their own lives, then life continues; just the very fact that those stories are told is a continuation of life. We can't narrate those stories in a fancy and wonderful way because life was not like that and we have to be faithful to its nature, but as long as there are artists, writers and thinkers narrating history, life continues and that is exactly where hope resides.

Doris Salcedo è un’artista colombiana, nata a Bogotà nel 1958, formatasi all’Università Jorge Tadeo Lozano e alla New York University. Le sue installazioni e sculture danno forma e copro alle vite messe sotto silenzio degli emarginati, dalle vittime della violenza egli sconfitti del Terzo Mondo. I suoi lavori concretizzano un’assenza, l’oppressione, lo scarto ancora vivibile e percepito tra i potenti e coloro a cui è tolto ogni forma di potere.

 

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